Everyday life, Italiano

mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa

Ho detestato fin da bambina l’idea di tornare, anche dopo un semplice fine settimana al mare, forse traumatizzata dalla citatissima frase di Andrea Pazienza: “Mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa” che in realta’ è di Che Guevara. Essendo una scritta su un muro, anche per Pazienza quella frase non era che una citazione disegnata affiorata in Pentothal, che per gli amanti di Pazienza, divento’ per anni farina del sacco di Paz.

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Di sicuro il mondo si divide in due: chi ha paura di partire e chi ha il terrore di tornare; chi non si decide mai a farlo e chi ha problemi a smettere. Faccio parte della seconda categoria: tornare da sempre mi angoscia, destabilizza, mi deprime. Non ho mai compreso a fondo le motivazioni di chi desidera tornare a casa mentre è ancora in movimento, senza essere preso da un senso di vertigine. Non parlo tanto di turismo, quanto di viaggi.

Lo scorso weekend ho rivisto due care amiche, Mireia e Lea una danese e l’altra spagnola che hanno vissuto per anni qui a Londra. Ed ora per via dell’incertezza creata dalla Brexit e perche’ stanche della citta’, sono tornate a casa. Abbiamo avuto conversazioni interessanti, condiviso pensieri, visioni politiche, sociali e di vita ma soprattutto mi sono ritrovata a condividere e analizzare con loro, il significato della frase ‘ tornare a casa’.

Un’esperienza che ho provato personalmente e che mi ha riportato a Londra.

La strana cosa che accomuna, chi ha vissuto fuori dal proprio paese di origine, è la fluidita’ di visioni e prospettive. Dopo aver viaggiato anche piu’ in la’ dell’Europa per anni, si sviluppa una conoscenza di se stessi molto profonda.

Riesci ad osservarti al di la’ dell’ imprinting genetico e del tuo background. Puo’ essere destabilizzante ma aiuta a mettere in discussione te stessa, i tuoi valori e le tue piccole certezze.

Dalla mia reunion di questo fine settimana, è stata curioso osservare come sia al nord come al sud d’Europa, superati i 30 anni, il modello matrimonio, mutuo, monogamia è quello che piu’ o meno tutti si sentono obbligati a seguire, e se sei sicura di non volere nessuno dei tre, ti senti un outsider. Perche’ tutti, anche se terribilmente infelici, provano instancabilmente ad applicarlo alla propria vita.

Insostenibile da un punto di vista economico perche’, a quasi tutte le latitudini ormai e in queste includo anche l’UK, se non hai l’appoggio della tua famiglia, pensare di comprare casa a 30 anni, è impossibile. Stessa cosa per il matrimonio e la monogamia, nonostante meta’ delle coppie si separi dopo i primi tre anni di unione, l’altra meta’ dopo il primo figlio e il tradimento sia tra le cose piu’ frequenti che capitano, si continua a credere che sia l’unico sistema, con cui essere riconosciuti socialmente come adulti.

Mi ha consolato vedere come non fossi stata l’unica ad averlo sperimentato.

Il mio ritorno a Roma dopo sei anni fuori dal mio paese, fu traumatico anche se voluto. Mi sentivo una turista, da un lato mi sembrava tutto nuovo e questo mi creava una sensazione positiva e strana allo stesso. Dall’altro non tolleravo piu’ i commenti razzisti, le battute omofobe e sessiste ancora meno. Ero cambiata e tutto quello che un tempo mi sembrava normale o parte della mentalita’ italiana, ora strideva con tutto quello che ero diventata.

Agli occhi degli amici di sempre sembravo un po’ folle, il modo in cui vivevo la citta’ e vivevo le cose che conoscevo, era cambiato. Non sopportavo piu’ alcuni amici che prima tolleravo, mi annoiavo alle feste, mi annoiavo alle cene.

Nei miei anni fuori avevo sviluppato una sorta di reale indipendenza dalle norme sociali italiane, a cui non riuscivo piu’ ad adattarmi.

Ci ho provato per tre anni a stare a Roma, ho trovato lavoro, casa e ho riprovato a connettermi nuovamente, ma non andava. Il mio paese non mi piaceva piu’, come un vecchio fidanzato dei tempi del liceo, non riuscivo ad accettarlo e mi faceva stare male, perche’ gli volevo ancora bene. Non ero piu’ disposta ad adattarmi, sapevo che a Londra o in qualsiasi altra parte del mondo, avrei potuto fare meglio.

Una sensazione di estraniamento che rincontravo anche negli ambienti a me piu’ cari. I posti in cui un tempo mi sentivo a casa e dove ero convinta che avrei ritrovato facce amiche, ora mi annoiavano.

Io e Mireia siamo un po’ simili e in questo ci siamo ritrovate.

I centri sociali, i circoli sinistroidi, le vinerie popolate da pseudo intellettuali, insomma tutti  quegli ambienti che credevi fossero aperti e progressisti, a un tratto ti risultano  claustrofobici e noiosi.

I posti in cui le persone si riconoscono in modo conforme come appartenenti a qualcosa che risponde a dettami legati ad abbigliamento, gusti musicali, modi di fare, di parlare e di pensare, piu’ che di essere.

E apparentemente in Italia come in Spagna, o sei borghese o sei punkabbestia,  non esiste una di via di mezzo. Il dress code è tutto, non importa che tu condivida idee, valori o semplicemente la musica della serata, vi è ancora quella visione un po’ provinciale, per cui  ‘se non sei vestita come noi, non fai parte del gruppo‘.

Completemente opposto a qualsiasi scena londinese, dove nobody really gives a fuck anche alla fashion week che immaginavo fosse il luogo piu’ snob della terra. Ovvio puoi altamente fregartene delle reazioni intorno, ma quando torni a casa, ti rendi conto che l’abbigliamento, l’auto che hai, e dove vai a cena il sabato sera anche se pagato tutto a rate, in un certo senso definiscono chi sei.

Claustrofobia e noia, le uniche sensazioni che questo tipo di mentalita’ riusciva a suscitarmi, insieme a un senso di non appartenenza e isolamento.

Dopo aver sviluppato una conoscenza di te stessa al di fuori di questi riferimenti fissi, chiedersi se si è felici davvero diventa ovviamente una domanda a cui ti senti obbligata a rispondere con sincerita’, perche’ sai che se vuoi, hai la forza necessaria per cambiare le cose e non ti spaventa farlo.

Forza mista a quell’ eterna ambivalenza che caratterizza il viaggiatore: da un lato è spinto ad andare lontano da casa, ma appena arriva soffre perché desidera ritornare. “Non hai avuto paura? Che cosa ti ha spinto a partire?”, è la domanda più frequente che si sentono fare i viaggiatori da parenti, amici e curiosi. E penso che a volte sia proprio la paura di farlo.

Ma tornare mi ha fatto capire che le avventure hanno mille orizzonti – non certo tutti tropicali o legati alla carriera o al ritorno – e che il meglio non è altrove, il meglio è uno stato d’animo. Un coraggio consapevole di ciò che posso vivere qui e ora con quello che ho, immaginando il futuro come qualcosa di plasmabile nelle mie mani. Non lo avrei sperimentato se non fossi partita, non lo avrei capito se non fossi tornata.

mah speriamo bene

 

 

 

 

 

 

 

 

Soundtrack of the week: Sofrito – Tropical discotheque

3 thoughts on “mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa”

  1. Uno degli articoli più interessanti e riflessivi che abbia letto negli ultimi periodi. Non ho viaggiato molto ma quel che ho notato, uscendo dall’Italia, ha cambiato la mia visione delle cose.
    Siamo cresciuti come se seguire certe abitudini fosse un obbligo e non una scelta. Tanti si adeguano perchè fare qualcosa di diverso richiede coraggio, e non tutti lo hanno, ma altri, come me, non tollerano la monotonia, le cose imposte. Mi rivedo molto in ciò che hai scritto 👏🏼🙌🏻

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